lunedì 26 marzo 2012

MANIFESTAZIONE CONTRO LA MODIFICA DELL'ART.18

DOMANI MARTEDI 27 MARZO ORE 15 TUTTI A PIAZZA SS.APOSTOLI PER MANIFESTARE CONTRO LA MODIFICA DELL'ART 18. SE NECESSARIO PRENDERE PERMESSO SINDACALE.
CIAO GIGI

giovedì 22 marzo 2012

La Cgil si prepara a una mobilitazione dura che cambi le norme del governo

“La Cgil è pronta a dare battaglia contro le norme proposte dal governo per la riforma del mercato del lavoro e in particolare per l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.” Lo afferma in un nota la confederazione che vuol dar vita ad una mobilitazione che “sarà dura e articolata e che punta a ottenere risultati concreti durante il dibattito parlamentare della riforma.”
“Non sarà la fiammata che si esaurisce in un giorno che il governo ha messo in conto, abbiamo il dovere di portare a casa dei risultati prima che si avvii un biennio di espulsioni di massa nelle aziende”, ha detto oggi Fulvio Fammoni, segretario confederale, introducendo la riunione in corso del Direttivo nazionale.

Tra le iniziative: una petizione popolare per raccogliere milioni di firme, azioni specifiche con i giovani per contrastare le norme sbagliate sul precariato; avvio del lavoro con la Consulta giuridica per i percorsi legali (ricorsi, ecc); e 16 ore di sciopero generale: 8 per le assemblee e iniziative specifiche e 8 ore in un'unica giornata con manifestazioni territoriali e assemblee nei posti di lavoro. La data sarà definita sulla base del calendario della discussione in Parlamento.
 

sabato 17 marzo 2012

Dove va la riforma Monti-Fornero

L’odio furioso dell’attuale governo verso l’idea che il lavoro stabile e dignitoso vada tutelato e vada considerato valore primario da difendere appare nella «Proposta di riforma degli ammortizzatori sociali», in almeno due elementi discriminanti.
La proposta di eliminazione della indennità di mobilità per i lavoratori licenziati collettivamente significa il passaggio da una tutela reale posta a difesa dello status di lavoratore ad una elargizione di una modesta somma di denaro per dodici mesi a chi, ormai disoccupato, viene lasciato nel libero mercato del lavoro per «incoraggiarlo» o, meglio, «costringerlo» ad abbassare le sue pretese, anche minime, per ricercare una nuova occupazione.
L’arretramento e la paccata di risparmi che la Fornero intende mettere sulle spalle dei lavoratori licenziati è reso evidente dalla considerazione che oggi, ad esempio, un cinquatreenne ha assicurati tre anni per sopravvivere con l’indennità di mobilità e tentare di trovare un nuovo lavoro, mentre con la proposta governativa dopo un anno non avrà più diritto a percepire alcun sussidio di disoccupazione.
Cosa succederà in concreto qualora l’ipotesi divenga legge è facile immaginarlo: di fronte ad una pensione non più raggiungibile prima di 15 anni (sempre grazie alla Fornero) il lavoratore anziano o cade nella più completa disperazione personale o da disperato accetterà condizioni peggiori di quelle che già oggi un giovane precario accetta. Il che è tutto dire visto che l’esercito di riserva della disoccupazione giovanile è già al 30%.
Il secondo elemento discriminante della proposta Monti/Fornero, presentata come scelta di buon senso, è quello che vuole che la Cassa integrazione straordinaria sia concessa solo quando sia affermata la ripresa dell’attività produttiva con l’espressa eliminazione della causale per procedura concorsuale con cessazione di attività (art. 3, L. 223/1991). Che ci sia poco buon senso anche in questa seconda proposta è presto evidenziato se si considera che durante le procedure concorsuali i liquidatori se da un lato non hanno all’orizzonte l’obiettivo della ripresa della attività, hanno comunque bisogno di tempo per non disperdere il capitale umano e non svalorizzare gli assets che potranno ricollocare a nuovi imprenditori, con ciò salvaguardando allo stesso tempo capacità produttiva, posti di lavoro e interessi dei creditori.
Quel che vuole il governo viene confessato immediatamente dopo aver proposto l’amputazione delle causali di Cigs e cioè la ricerca, questa volta anche senza versare neanche una ipocrita lacrima, di abbassamento dei livelli di tutela dei lavoratori ledendo la possibilità di restituzione delle quote di accantonamento del Tfr maturato in costanza di Cigs qualora il lavoratore cessi dal rapporto di lavoro prima della ripresa lavorativa.
E’ evidente allora che la proposta Monti/Fornero è in perfetta simbiosi con quanto prospettato nel Libro Bianco di Maroni nel 2001 e cioè di rendere più povero, debole e precario il lavoratore spostando la tutela dal rapporto di lavoro al mercato, sapendo che nel mercato il disoccupato è ancora più soggetto di sfruttamento e preda della forza contrattuale di chi offre lavoro alle condizioni che egli stesso, libero da ogni forma di solidarietà sociale, riesce ad imporre secondo le impari regole del mercato.
Non di «riforma» degli ammortizzatori sociali, dunque, il governo dovrebbe parlare, ma di ritorno a liberali meccanismi assicurativi che di equo, secondo principi di giustizia sociale contenuti della Carta costituzionale, poco, se non nulla, hanno.
( Antonio Di Stasi è professore di Diritto del lavoro nell’Università Politecnica delle Marche)

mercoledì 14 marzo 2012

Show della Fornero contro i sindacati. Loro incassano e non rompono il tavolo

È scontro aperto sulla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, conferma i tempi, rimarca la linea del governo di andare avanti e chiudere "molto in fretta", di smantellare i "privilegi" prevedendo "più facilità in uscita", e sfida il "sindacato italiano": "È chiaro che se uno comincia a dire no, perchè dovremmo mettere una paccata di miliardi e dire 'poi voi ci dite di sì? Non si fa così". Replica, ironizzando, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Non ero al tavolo" con il governo, "però nessuno mi ha riferito di aver visto una paccata di miliardi. Forse si sono dimenticati di dirmelo". La riforma è "buona" e per questo il ministro dice che le risulterebbe "molto difficile" capire il no dei sindacati. Ma i sindacati, questa volta anche la Cisl, e le imprese, a partire dalle piccole, ribattono e avvertono: o si cambia o salta il tavolo. Mentre la Cgil respinge "le pressioni": sarà il merito - replica - a decidere. Il nodo, ora, prima ancora dell'articolo 18 è il nuovo sistema di ammortizzatori sul tavolo della trattativa, che anticipa lo stop alla mobilità riducendone la durata (a 12-18 mesi dal massimo di 36-48 mesi oggi), e che alle organizzazioni sindacali non piace perchè - dicono - non allarga la platea e rischia di lasciare per strada molti lavoratori per l'effetto combinato con l'innalzamento dell'età di pensione. Alle imprese, quelle piccole, non piace perchè ne aumenta i costi, con l'aggravio sui contributi; alle grandi perchè devono fare i conti con le ristrutturazioni aziendali. La strada è stretta. La tensione è alta. Se il governo non modifica la proposta sulla mobilità il tavolo salta, "deve stare attento", è il messaggio che manda a chiare lettere il leader della Cisl, Raffaele Bonanni: e, aggiunge, "il governo si prende la responsabilità di una rottura sociale che noi non vogliamo". Per il leader della Cgil, Susanna Camusso, "siamo di nuovo di fronte", dopo le pensioni, "a una riforma che non allarga le tutele a tutti ma anzi riduce quelle esistenti. Se non ci saranno le risposte e le risorse decideremo cosa fare". "L'aggravio di costi previsto dalla riforma del lavoro presentata dal governo è inaccettabile. Se non ci saranno modifiche sostanziali, non firmeremo l'accordo", è la linea dura indicata dal presidente di Rete Imprese Italia, Marco Venturi. Ma il ministro insiste sulla bontà della riforma che si basa sui principi dell' "inclusione e universalità": "Confido nell'accordo e lavoro per questo", assicura. E sulle risorse, ripete: "Mi sono impegnata a che non vengano tolte dall'assistenza. Mi sembra sia un buon impegno. Avrei voluto sentire una piccola parola di apprezzamento". In un mercato del lavoro dinamico "c'è maggiore facilità di entrata e un pò più di facilità di uscita». Perchè la parola chiave è «inclusione invece di segmentazione", e questo "significa smantellare le protezioni che si sono costituite, che spesso sono state motivate da buoni principi ma che hanno implicazioni di conservatorismo molto forte fino alla difesa dei privilegi". L'articolo 18 è sul tavolo. 

domenica 11 marzo 2012

Gaza grida al mondo...

«Non possiamo aspettare oltre», spiegava qualche giorno fa alla Casa Bianca il premier israeliano Netanyahu, giunto a Washington per strappare a Barack Obama il via libera ad un attacco aereo contro le centrali nucleari iraniane. E invece gli F-16 e i droni israeliani sono decollati verso Gaza, per colpire in modo ancora più devastante obiettivi che già prendono di mira a giorni alterni, spesso senza neppure la motivazione dei lanci di razzi palestinesi. Fanno il «loro dovere» i piloti israeliani e, intanto, si addestrano per missioni più audaci, sulla rotta di Tehran. I comandanti militari da parte loro si compiacciono per «la precisione» dei lanci di missili e bombe su Gaza. Poco importa se ogni tanto ci scappa il «danno collaterale», qualche civile innocente ucciso. Ormai chi si ricorda più dei pescatori palestinesi cacciati indietro dalle motovedette israeliane che entrano ed escono dalle acque di Gaza? Chi si cura delle migliaia di contadini della Striscia che non possono coltivare i campi all’interno della «zona cuscinetto» imposta da Israele? Vittorio Arrigoni ci raccontava tutto questo ogni giorno. Una mano assassina lo ha fermato.
Ci sono voluti 15 morti per far tornare l’attenzione sulla prigione a cielo aperto di Gaza e il suo milione e mezzo di detenuti-abitanti. E con essa la questione palestinese offuscata dalle rivolte arabe, dimenticata dai «fratelli arabi» e messa in soffitta dall’Amministrazione Usa. Appena qualche anno fa si diceva che solo la fine dell’occupazione israeliana dei Territori avrebbe portato la pace in Medio Oriente. Oggi solo gli attivisti internazionali non dimenticano i palestinesi. I primi ministri e i presidenti dell’Occidente fingono di non vedere, di non sapere. E si è affievolita pure la denuncia del governo di Hamas, anch’esso prigioniero a Gaza, intento a godersi il nuovo status che ha conquistato nella regione. Tace, colpevolmente impotente, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. E’ solo un ricordo sbiadito il sussulto che provocò tra la sua gente chiedendo (invano) lo scorso settembre all’Onu il riconoscimento dello Stato di Palestina, incurante dell’opposizione di Usa e Israele. Dopo è stato solo silenzio. I suoi sponsor occidentali ora lo ammoniscono dal riconciliarsi con Hamas, pena l’isolamento e la perdita delle donazioni internazionali. E dalla Casa Bianca gli fanno sapere di non aspettarsi passi americani in Palestina fino alle presidenziali. Perché, dopo, ci saranno?
Michele Giorgio - il manifesto

mercoledì 7 marzo 2012

9 Marzo, Landini risponde al PD

Abbiamo invitato e gli abbiamo chiesto di poter parlare alla nostra manifestazione il presidente della Comunita' montana della Val Susa, che e' iscritto al Pd ed e' stato sindaco di Susa". A parlare e' Maurizio Landini, segretario nazionale della Fiom, nella conferenza di presentazione della manifestazione dei metalmeccanici, indetta per venerdi' a Roma...
Il Pd, vista la presenza di movimenti 'no Tav', ha scelto di non partecipare. Il riferimento di Landini e' al presidente Sandro Plano, che appunto sara' a Roma per la manifestazione e che, continua Landini, "e' stato eletto da altri sindaci come presidente della comunita' Montana. Quindi e' una figura istituzionale, che mi ha invitato in qualita' di segretario alla manifestazione di sabato del popolo della Val di Susa e cui mi hanno chiesto di fare intervento. Facciamo parlare anche uno del movimento dell'acqua- dice ancora il numero 1 di Fiom- Non riesco a capire... Ma se si vuole usare in modo non corretto la nostra manifestazione, non lo permettiamo: nel far parlare i 'no Tav', non cambia di significato: c'e' una violazione dei diritti della Fiat, e' stato cancellato il contratto nazionale lavoro". La Fiom, continua Landini, "non e' d'accordo con le grandi opere, e non lo e' da ieri ma da un po' di anni".
"Il documento votato dalla Fiom al congresso del 2010, impegnava il sindacato a sostenere movimenti contro il nucleare, contro la privatizzazione dell'acqua, contro la Tav e contro il ponte sullo Stretto di Messina. Siccome tanti esponenti sono venuti con noi in piazza il 16 di ottobre, non e' che noi abbiamo cambiato idea, l'abbiamo sempre detto e sempre fatto. Siamo stati anche tra i promotori del referendum contro il nucleare e la privatizzazione dell'acqua". Landini ha poi detto di "rispettare le decisioni" degli altri ma che "si assumeranno le proprie responsabilita'". La Fiom di fatto ha proclamato lo sciopero "partendo dalla necessita' di difendere i diritti delle persone che rappresentiamo e di riconquistare un contratto. Pensiamo che questo sia un tema che ha un significato generale". Landini, infine, trova "singolare che si consideri pericoloso estremista il presidente della Comunita' montana della Val di Susa: e' una figura istituzionale".