giovedì 1 luglio 2010

3° puntata della finanziaria eta'pensionabile per le donne

L’accelerazione dell’aumento
dell’età pensionabile per le donne
Il governo a luglio scorso era già intervenuto
sulle pensioni con due
provvedimenti: legando l’età pensionabile
all’aspettativa di vita certificata
dall’Istat a partire dal 2015 e
innalzando l’età pensionabile per le
donne del pubblico impiego con
un intervento scadenzato che
avrebbe portato ai 65 anni nel 2018.
Ora si introduce l’aumento secco
dell’età pensionabile già al 2012.
L’innalzamento dell’età pensionabile
per le donne è un’ingiustizia mascherata
dall’“obbligo” che deriverebbe
dalle norme europee. In realtà
l’articolo 7 della direttiva 79/7
del 1978 sull’attuazione “del principio
di parità di trattamento tra gli
uomini e le donne in materia di sicurezza
sociale” lascia agli stati la
definizione dell’età di pensione.
Ma i diversi governi Berlusconi, nel
contenzioso che si è protratto per
anni con l’Europa, non hanno fatto
valere né la volontarietà della scelta
per le donne di andare anticipatamente
in pensione, né il fatto che
l’Inpdap non è un sistema previdenziale
di un ordine professionale,
ma è a tutti gli effetti paragonabile
all’Inps per i dipendenti pubblici e
come tale soggetto al diritto pubblico
e alle deroghe accordate dalla
Unione Europea. E’ palese l’ingiustizia
sostanziale. La vita delle donne,
particolarmente in Italia, è segnata
in maniera gravissima da un
insieme di fattori negativi, tanto
materiali quanto culturali e simbolici.
Siamo tra gli ultimi in Europa
per occupazione femminile con
meno di una donne su due che lavora,
con differenziali di carriera e
retributivi medi intorno al 20 per
cento. Sulle donne si scarica il peso
doppio lavoro, produttivo e riproduttivo
– più di 5 ore di media al
giorno per il lavoro domestico e di
cura contro un’ora e mezzo degli
uomini – sia in ragione della cultura
sessista ancora prevalente, sia per
il sottofinanziamento e l’inadeguatezza
dello stato sociale.

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