“E’ una vicenda esemplare che fa capire che le strade del buonismo portano all’inferno, quello vero”, afferma sulla strage in Norvegia l’europarlamentare leghista Mario Borghezio. “L’ideologia della società aperta crea mostri – dice ai microfoni della Zanzara su Radio 24 -. Il killer Breivik è il risultato di questa società aperta, multirazziale, direi orwelliana. Questo tipo di società è criminogeno. Certe situazioni di disagio e di insofferenza è inevitabile che sfocino in tragedia. Quando una popolazione si sente invasa, poi nascono dei fenomeni di reazione, anche se gli eccessi sono da condannare. Quando si diceva prima che la Norvegia e la Svezia accoglievano decine di migliaia di tunisini, bisognava tener conto dell’impatto che un afflusso di questo genere poteva generare. La società aperta e multirazziale non è quel paradiso terrestre che ci voglion far credere coloro che comandano l’informazione. La società aperta e multirazziale fa schifo”.
Video di Gisella Ruccia
martedì 26 luglio 2011
lunedì 25 luglio 2011
Non Importa-Fabrizio Moro...ESPRIMI UN CONCETTO SENZA TIMORE SE RIESCI A CAPIRE CHE VIENE DAL CUORE SENZA PAURA DI DIR SEMPRE LA TUA....
SI FONDA SU QUESTO LA DEMOCRAZIA!!!!!!!!!!!!!!!!!
Strage in Norvegia, Feltri shock: Quei giovani sull’isola incapaci ed egoisti
E mentre ancora si piangono i morti parte il delirio senza fine che lascia sgomenti. Come abbiamo visto, nei giorni scorsi, quelli de “Il Giornale” hanno provato ad attribuire la responsabilità degli attentati di Oslo all’Islam: hanno addirittura mandato in edicola due prime pagine diverse. Poi sono stati smentiti dai fatti ma essendo l’attentatore un norvegese, “cristiano” e di destra, Sallusti e Feltri sono andati in tilt. Non è possibile colpevolizzare un tizio con questi requisiti. Deve esserci sicuramente qualche altro modo per minimizzare il lucido e atroce gesto di Anders. A trovarlo è Feltri con l’editoriale di oggi: “Quei giovani incapaci di reagire”. La tesi è semplice quanto vigliacca. Come è possibile, si chiede Feltri, che i 500 giovani presenti sull’isola di Utoya non siano riusciti a fermare la carneficina? Potevano, secondo Feltri, lanciarsi sull’attentatore cosicché “alcuni di sicuro sarebbero stati abbattuti ma non tutti”. Insomma, secondo Feltri, il problema è che ciascuno ha pensato “a salvare se stesso illudendosi di spuntarla”. Praticamente la colpa è delle vittime, di quei giovani che non hanno voluto “identificarsi con gli altri”: incapaci ed egoisti e anche un po’ rammolliti. Si può cadere più in basso di così?
domenica 24 luglio 2011
Un suicidio al giorno tra i disoccupati
In Italia una persona al giorno si toglie la vita perché non ha lavoro. È questo l'allarmante dato diffuso da Eures sulla crescita dei suicidi nel nostro Paese, che sembrano aver conosciuto un'impennata con la crisi economica globale. Crescono i disoccupati e crescono anche i suicidi, dunque, che nel 2009 sono stati 2.986, circa il 5,6% in più rispetto all'anno precedente. E in particolare aumentano i casi di persone che scelgono di morire per sfuggire al dramma della disoccupazione e dai problemi economici.
Secondo il rapporto Eures sono per lo più gli uomini a tentare il suicidio, per lo più persone che non riescono a trovare una collocazione adeguata nel mondo del lavoro. Abitano al nord e hanno un'età media di almeno cinquant'anni.
Insomma, se si dice che di lavoro non si deve morire ora sarebbe il caso dire invece che disoccupazione non si può vivere.
Secondo il rapporto Eures sono per lo più gli uomini a tentare il suicidio, per lo più persone che non riescono a trovare una collocazione adeguata nel mondo del lavoro. Abitano al nord e hanno un'età media di almeno cinquant'anni.
Insomma, se si dice che di lavoro non si deve morire ora sarebbe il caso dire invece che disoccupazione non si può vivere.
Giovani, ultranazionalisti e anti-islamici, da Amsterdam a Stoccolma cresce il vento nero
di Anna Maria Merlo (il manifesto del 24/07/2011)
Anders Behring Breivik, arrestato come responsabile della strage di Utoya, era stato membro dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso dal 1999 fino al 2006, quando era stato radiato. Il leader di questa formazione di estrema destra norvegese, Siv Jensen, ieri si è detto «rattristato» per il gesto del terrorista. Il Partito del Progresso è ormai la seconda forza politica in Norvegia, con il 22,9%. Attorno ad esso i partiti tradizionali hanno costruito un «cordone» sanitario che gli ha impedito di accedere al governo. Ha posizioni liberiste in economia, si batte per il libero commercio, contro le tasse e per «meno stato». Glorifica la «famiglia norvegese» e propugna una società «non mista», si scaglia contro la «generosità verso i paesi poveri». Il primo ministro norvegese, Jens Stoltenberg, ha affermato ieri di essere «in contatto con agenzie di sicurezza di altri paesi, l'inchiesta è in corso e uno degli aspetti è appunto verificare se ci possono essere connessioni internazionali». Gli estremisti norvegesi hanno contatti con organizzazioni omologhe in Svezia e in atri paesi europei, fino alla Russia, sostengono a Oslo. Nel febbraio di quest'anno, un rapporto della polizia norvegese aveva espresso inquietudine sulla «crescita» delle attività dei gruppuscoli di estrema destra. In Svezia, i Democratici svedesi sono stati la novità delle elezioni del settembre 2010, quando hanno ottenuto il 5,7% dei voti e 20 seggi al parlamento. Il leader, Jimmi Aakesson, ha 31 anni e il suo partito è l'erede di un movimento neo-nazista che ha come ideologia la de-islamizzazione del paese e la lotta contro gli immigrati. In campagna elettorale avevano diffuso un video in cui un pensionato svedese faceva a gara con delle donne in burqa per ottenere i soldi del welfare. In Danimarca, il Partito del Popolo, ormai la terza forza del paese, dal 2001 appoggia dall'esterno i governi conservatori e ha ottenuto che alcune sue proposte venissero trasformate in legge: Copenhagen ha la peggiore legge europea sull'immigrazione e, di recente, ha chiuso le frontiere denunciando Schengen. In Finlandia, alle ultime elezioni la vera novità è stata l'irruzione del Partito dei veri finlandesi, impostosi come forza politica di primo piano.
L'estrema destra è da anni in crescita in tutta Europa. Dal Fpö austriaco, che ha un leader di 41 anni, Heinz-Christian Strache, e alle municipali di Vienna del 2010 è arrivato al 27% (in crescita di 12 punti) all'Udc svizzera, dall'Atika bulgara allo Jobbic (Movimento per un'Ungheria migliore), che è ormai la terza forza ungherese, al Partito della libertà olandese, dove Geert Wilders è arrivato a rappresentare la terza forza politica, con il 15,4% dei suffragi e 24 seggi in parlamento. In Francia, Marine Le Pen, la nuova leader del Fronte nazionale figlia del fondatore Jean-Marie, punta a essere presente al secondo turno delle presidenziali del 2012, come suo padre, che arrivò al ballottaggio nel 2002, escludendo il socialista Jospin. Tutte queste forze stanno creando un terreno comune: difesa delle identità nazionali, insistendo sullo scontro di civiltà, ponendosi come anti-islam e anti-immigrati. Prosperano aiutate dalle difficoltà sociali che si diffondono in un periodo di crisi.
Interpol, in un rapporto del 2010, pur escludendo rischi imminenti di attentati di estrema destra, aveva però sottolineato la «professionalità» crescente di queste organizzazioni, che si rafforzano attraverso la propaganda xenofoba e si costruiscono grazie ai social network. Il contro-spionaggio britannico aveva sottolineato di recente che «un individuo isolato può causare danni enormi»: nel '99, a Londra, il terrorista David Copeland aveva causato la morte di tre persone con una bomba artigianale lanciata contro un locale di incontro di omosessuali.
L'atto terrorista di Anders Behring Breivik ricorda i fatti di Oklahoma, negli Usa, quando nel '95, Timoty McVeich, un militante di estrema destra, aveva ucciso 168 persone facendo esplodere un'autobomba di fronte a un edificio federale.
Anders Behring Breivik, arrestato come responsabile della strage di Utoya, era stato membro dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso dal 1999 fino al 2006, quando era stato radiato. Il leader di questa formazione di estrema destra norvegese, Siv Jensen, ieri si è detto «rattristato» per il gesto del terrorista. Il Partito del Progresso è ormai la seconda forza politica in Norvegia, con il 22,9%. Attorno ad esso i partiti tradizionali hanno costruito un «cordone» sanitario che gli ha impedito di accedere al governo. Ha posizioni liberiste in economia, si batte per il libero commercio, contro le tasse e per «meno stato». Glorifica la «famiglia norvegese» e propugna una società «non mista», si scaglia contro la «generosità verso i paesi poveri». Il primo ministro norvegese, Jens Stoltenberg, ha affermato ieri di essere «in contatto con agenzie di sicurezza di altri paesi, l'inchiesta è in corso e uno degli aspetti è appunto verificare se ci possono essere connessioni internazionali». Gli estremisti norvegesi hanno contatti con organizzazioni omologhe in Svezia e in atri paesi europei, fino alla Russia, sostengono a Oslo. Nel febbraio di quest'anno, un rapporto della polizia norvegese aveva espresso inquietudine sulla «crescita» delle attività dei gruppuscoli di estrema destra. In Svezia, i Democratici svedesi sono stati la novità delle elezioni del settembre 2010, quando hanno ottenuto il 5,7% dei voti e 20 seggi al parlamento. Il leader, Jimmi Aakesson, ha 31 anni e il suo partito è l'erede di un movimento neo-nazista che ha come ideologia la de-islamizzazione del paese e la lotta contro gli immigrati. In campagna elettorale avevano diffuso un video in cui un pensionato svedese faceva a gara con delle donne in burqa per ottenere i soldi del welfare. In Danimarca, il Partito del Popolo, ormai la terza forza del paese, dal 2001 appoggia dall'esterno i governi conservatori e ha ottenuto che alcune sue proposte venissero trasformate in legge: Copenhagen ha la peggiore legge europea sull'immigrazione e, di recente, ha chiuso le frontiere denunciando Schengen. In Finlandia, alle ultime elezioni la vera novità è stata l'irruzione del Partito dei veri finlandesi, impostosi come forza politica di primo piano.
L'estrema destra è da anni in crescita in tutta Europa. Dal Fpö austriaco, che ha un leader di 41 anni, Heinz-Christian Strache, e alle municipali di Vienna del 2010 è arrivato al 27% (in crescita di 12 punti) all'Udc svizzera, dall'Atika bulgara allo Jobbic (Movimento per un'Ungheria migliore), che è ormai la terza forza ungherese, al Partito della libertà olandese, dove Geert Wilders è arrivato a rappresentare la terza forza politica, con il 15,4% dei suffragi e 24 seggi in parlamento. In Francia, Marine Le Pen, la nuova leader del Fronte nazionale figlia del fondatore Jean-Marie, punta a essere presente al secondo turno delle presidenziali del 2012, come suo padre, che arrivò al ballottaggio nel 2002, escludendo il socialista Jospin. Tutte queste forze stanno creando un terreno comune: difesa delle identità nazionali, insistendo sullo scontro di civiltà, ponendosi come anti-islam e anti-immigrati. Prosperano aiutate dalle difficoltà sociali che si diffondono in un periodo di crisi.
Interpol, in un rapporto del 2010, pur escludendo rischi imminenti di attentati di estrema destra, aveva però sottolineato la «professionalità» crescente di queste organizzazioni, che si rafforzano attraverso la propaganda xenofoba e si costruiscono grazie ai social network. Il contro-spionaggio britannico aveva sottolineato di recente che «un individuo isolato può causare danni enormi»: nel '99, a Londra, il terrorista David Copeland aveva causato la morte di tre persone con una bomba artigianale lanciata contro un locale di incontro di omosessuali.
L'atto terrorista di Anders Behring Breivik ricorda i fatti di Oklahoma, negli Usa, quando nel '95, Timoty McVeich, un militante di estrema destra, aveva ucciso 168 persone facendo esplodere un'autobomba di fronte a un edificio federale.
G8 GENOVA: DON GALLO 'SUPERSTAR' ARRINGA GIOVANI NO GLOBAL, AGITA BANDIERA ROSSA, VIA TUTTI DAL PARLAMENTO
«Via tutti dal Parlamento. Basta, basta, basta». Don Andrea Gallo, prete di strada fondatore della Comunità di San Benedetto, arringa così dal camion dei No Global i giovani che partecipano al corteo per il decennale del G8 di Genova. «Via tutti dal Parlamento», insiste il sacerdote, famoso per le sue battaglie a favore dei più deboli, che agita con la mano destra una bandiera rossa. (ANSA).
venerdì 22 luglio 2011
COSTITUITO IL “COMITATO PER IL NO E PER LA DEMOCRAZIA”
I sottoscritti delegati sindacali di tutte le sigle sindacali (FIOM-CGIL, FILCAMS-CGIL; SLAI COBAS) della IBM, Sistemi Informativi di Roma, HP e Exprivia hanno costituito il “Comitato per il NO e per la Democrazia” per contrastare l’accordo firmato da CGIL, CISL, UIL, UGL e Confindustria in data 28 giugno in materia di contrattazione e rappresentanza sindacale.Riteniamo che l’accordo debba essere respinto perché le conseguenze per l’intero mondo del lavoro saranno gravi:
I sottoscritti delegati organizzeranno nel mese di settembre le assemblee ed il relativo referendum chiamando al voto tutti i lavoratori e non solo agli iscritti. Esprimendo forte contrarietà sulle modalità di consultazione con cui è stata organizzata a livello nazionale la consultazione, che esclude la partecipazione democratica di tutte le lavoratrici e lavoratori, si impegnano a non applicare, nella contrattazione aziendale, le norme peggiorative introdotte. Si invitano anche le lavoratrici e i lavoratori ad aderire al comitato aderendo al comitato inviando un email, indicando nome, cognome, azienda, all’indirizzo: comitatoperilNO.ibm.si.hp@gmail.com NO ALL’ACCORDO SI ALLA DEMOCRAZIA SINDACALE Seguono firme dei delegati, lavoratrici e lavoratori che hanno aderito al comitato: Bernardino Bruno - RSU IBM di Roma – FIOM-CGIL Claudio Simonelli - RSU Sistemi Informativi di Roma - FILCAMS-CGIL Deo Peppicelli – RSU IBM di Roma - SLAI COBAS Federico Mugnari - RSU Sistemi Informativi di Roma, Direttivo Roma Sud FILCAMS-CGIL Leonardo De Angelis – RSU Sistemi Informativi di Roma, Direttivo Regionale FILCAMS-CGIL RSU del Gruppo Exprivia di Roma Vito Fazio - IBM |
Indumenti di lavoro: obblighi del datore di lavoro
Si segnala che sembra trovare scarsissima applicazione fra le aziende, l’obbligo (fissato anche con circolare ministeriale n.34/1999 e sancito anche dalla sentenza n.18573/2007 della Corte di Cassazione) per i datori di lavoro di lavare, a proprie spese e cura, gli indumenti che proteggono i lavoratori dai rischi professionali.
Anche la normale divisa di lavoro - se consente di proteggere da un rischio ad esempio chimico o fisico (es olii, gas, polveri, ecc) evitando quindi che talune sostanze vengano in diretto contatto con la pelle o con i vestiti sottostanti - costituisce un indumento protettivo e, in quanto tale, deve essere lavato dal datore di lavoro. Il problema vero è che ancora molti datori di lavoro non lavano ad esempio le divise in quanto le considerano indumenti non protettivi, ma indumenti consegnati solo ai fini di preservare l'abito del lavoratore dallo sporco e dall'usura.
Già la circolare del Ministero del Lavoro n° 34 del 29/04/1999 spiegava in maniera inequivocabile che “qualora l'indumento assolva anche ad una funzione protettiva viene equiparato ad un dispositivo di protezione individuale (DPI)”, con conseguente obbligo di lavaggio a carico del datore di lavoro. Sull’argomento si evidenzia che tutto ciò che si porta a casa, può permanere nelle lavatrici e mescolarsi alla biancheria domestica, nonché finire negli scarichi urbani, pur trattandosi di sostanze che potrebbero, in alcuni casi, richiedere di essere trattate come rifiuti speciali.
Infine, si segnalano al riguardo due ulteriori sentenze: la prima del Tar del Veneto, che ha imposto al datore di lavoro il risarcimento al lavoratore per aver assolto direttamente alla necessaria pulizia degli indumenti di lavoro, la seconda della Cassazione civile, che ha deliberato l’obbligo di considerare tempo di lavoro quelle utilizzato per indossare e rimuovere i dispositivi di protezione individuale prima e dopo l’espletamento dell’attività lavorativa.
Anche la normale divisa di lavoro - se consente di proteggere da un rischio ad esempio chimico o fisico (es olii, gas, polveri, ecc) evitando quindi che talune sostanze vengano in diretto contatto con la pelle o con i vestiti sottostanti - costituisce un indumento protettivo e, in quanto tale, deve essere lavato dal datore di lavoro. Il problema vero è che ancora molti datori di lavoro non lavano ad esempio le divise in quanto le considerano indumenti non protettivi, ma indumenti consegnati solo ai fini di preservare l'abito del lavoratore dallo sporco e dall'usura.
Già la circolare del Ministero del Lavoro n° 34 del 29/04/1999 spiegava in maniera inequivocabile che “qualora l'indumento assolva anche ad una funzione protettiva viene equiparato ad un dispositivo di protezione individuale (DPI)”, con conseguente obbligo di lavaggio a carico del datore di lavoro. Sull’argomento si evidenzia che tutto ciò che si porta a casa, può permanere nelle lavatrici e mescolarsi alla biancheria domestica, nonché finire negli scarichi urbani, pur trattandosi di sostanze che potrebbero, in alcuni casi, richiedere di essere trattate come rifiuti speciali.
Infine, si segnalano al riguardo due ulteriori sentenze: la prima del Tar del Veneto, che ha imposto al datore di lavoro il risarcimento al lavoratore per aver assolto direttamente alla necessaria pulizia degli indumenti di lavoro, la seconda della Cassazione civile, che ha deliberato l’obbligo di considerare tempo di lavoro quelle utilizzato per indossare e rimuovere i dispositivi di protezione individuale prima e dopo l’espletamento dell’attività lavorativa.
adesione allo sciopero dei trasporti pubblici
Teleborsa) - Roma, 22 lug - Secondo i primi dati sono altissime le adesioni su tutto il territorio nazionale allo sciopero di 24 ore degli addetti al trasporto locale, ferroviario e servizi, proclamato dalle organizzazioni sindacali Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa trasporti, Faisa e Fast "a sostegno della vertenza per la sottoscrizione del nuovo contratto della Mobilità". Lo si legge in una nota del Filt - Federazione italiana lavoratori trasporti.
Lo sciopero che proseguirà fino alle 21 nel trasporto ferroviario e fino al termine del servizio nel trasporto pubblico locale, registra lo stop di quasi tutti i treni non garantiti dalla legge e un’elevatissima adesione nei trasporti pubblici delle principali città. A Roma sono ferme le due linee della metropolitana i collegamenti ferroviari concessi con Roma Pantano e Lido e l’83% dei bus con punte del 90% nella aziende private; a Milano chiuse le tre linee della metropolitana e fermi oltre il 70% dei mezzi pubblici; a Torino chiusa la metropolitana e fermi circa il 90% dei bus; Genova ferma la metropolitana e le funicolari ed adesioni del 97% dei mezzi di superficie; a Venezia fermi la quasi totalità dei vaporetti ed a Mestre il 91% dei bus, a Bologna ieri adesioni del 95% nella circolazione, a Napoli circumvesuviana, metropolitane e funicolari sono ferme l’85% dei mezzi pubblici di superficie. Fermi oltre al 90% dei mezzi pubblici a Bari, l’80% dei servizi urbani a Cagliari ed il 70% a Palermo. Lo sciopero si sta svolgendo nel rispetto della legge sui servizi pubblici e sono garantiti i servizi minimi essenziali previsti. Nel trasporto pubblico locale lo sciopero prosegue a Roma fino alle 17.30 e dalle 20 a fine servizio; a Milano fino alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; a Napoli fino alle 17 e dalle 20 a fine servizio; a Torino riprende alle 15 a fine servizio; a Venezia e Mestre fino alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; a Genova fino alle 17 e dalle 21 a termine servizio; a Bari riprende alle 15.30 a fine servizio; a Palermo fino alle 17,30; a Cagliari riprende dalle 14.45 fino alle 18.30 e dalle 20 alla fine del servizio. Per i sindacati "lo sciopero si è reso necessario in considerazione del grave stato di tensione tra i lavoratori conseguente alla mancata soluzione contrattuale, la cui responsabilità è da ascrivere alle posizioni di chiusura datoriale ed al concreto manifestarsi nel trasporto pubblico locale delle difficoltà economiche ed occupazionali in un settore che sempre più sembra inesorabilmente abbandonato a se stesso".
Lo sciopero che proseguirà fino alle 21 nel trasporto ferroviario e fino al termine del servizio nel trasporto pubblico locale, registra lo stop di quasi tutti i treni non garantiti dalla legge e un’elevatissima adesione nei trasporti pubblici delle principali città. A Roma sono ferme le due linee della metropolitana i collegamenti ferroviari concessi con Roma Pantano e Lido e l’83% dei bus con punte del 90% nella aziende private; a Milano chiuse le tre linee della metropolitana e fermi oltre il 70% dei mezzi pubblici; a Torino chiusa la metropolitana e fermi circa il 90% dei bus; Genova ferma la metropolitana e le funicolari ed adesioni del 97% dei mezzi di superficie; a Venezia fermi la quasi totalità dei vaporetti ed a Mestre il 91% dei bus, a Bologna ieri adesioni del 95% nella circolazione, a Napoli circumvesuviana, metropolitane e funicolari sono ferme l’85% dei mezzi pubblici di superficie. Fermi oltre al 90% dei mezzi pubblici a Bari, l’80% dei servizi urbani a Cagliari ed il 70% a Palermo. Lo sciopero si sta svolgendo nel rispetto della legge sui servizi pubblici e sono garantiti i servizi minimi essenziali previsti. Nel trasporto pubblico locale lo sciopero prosegue a Roma fino alle 17.30 e dalle 20 a fine servizio; a Milano fino alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; a Napoli fino alle 17 e dalle 20 a fine servizio; a Torino riprende alle 15 a fine servizio; a Venezia e Mestre fino alle 16.30 e dalle 19.30 a fine servizio; a Genova fino alle 17 e dalle 21 a termine servizio; a Bari riprende alle 15.30 a fine servizio; a Palermo fino alle 17,30; a Cagliari riprende dalle 14.45 fino alle 18.30 e dalle 20 alla fine del servizio. Per i sindacati "lo sciopero si è reso necessario in considerazione del grave stato di tensione tra i lavoratori conseguente alla mancata soluzione contrattuale, la cui responsabilità è da ascrivere alle posizioni di chiusura datoriale ed al concreto manifestarsi nel trasporto pubblico locale delle difficoltà economiche ed occupazionali in un settore che sempre più sembra inesorabilmente abbandonato a se stesso".
APPENNINO SOTTO ATTACCO. SMASCHERIAMO IL "PROTOCOLLO LETTA"
APPENNINO SOTTO ATTACCO. SMASCHERIAMO IL "PROTOCOLLO LETTA"
Su proposta del consigliere regionale PRC Maurizio Acerbo è nato un cooordinamento che riunisce associazioni ambientaliste, CGIL, comitati. Oggi a Pescara conferenza stampa per smascherare il "Protocollo Letta". APPENNINO SOTTO ATTACCO
Il “Protocollo Letta” attacca la natura del Parco Nazionale del Gran Sasso e Parco Regionale Sirente Velino.
L’altolà del Ministero dell’Ambiente, i vincoli ambientali e legali, lo scenario alternativo.
Progetti megalomani e milionari con grandi sprechi di risorse, Italia a rischio procedura di infrazione europea.
Mentre gli amministratori regionali, alcuni sindaci del cratere, sostenuti dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Gianni Letta, hanno annunciano progetti che, ignorando i vincoli ambientali incidono irreparabilmente sulle ricchezze ecologiche delle aree di maggior pregio ambientale della Regione, Associazioni Ambientaliste, movimenti politici, sindacati e comitati di cittadini lanciano una serie di azioni coordinate per contrastare i progetti programmati e delineare uno scenario alternativo di sviluppo duraturo e valorizzazione delle risorse naturali.
Forti e concrete sono le alternative possibili per un territorio già colpito dal terremoto e che ha bisogno di proposte serie e non di visionari e faraonici progetti di sperpero di fondi pubblici, che ne compromettano irrimediabilmente le risorse ambientali.
Lo stesso Ministero dell’Ambiente, in una recente ed esaustiva nota di risposta alle richieste di alcune Associazioni Ambientaliste, ammonisce la Regione Abruzzo e agli Enti Parco interessati, allertando nel contempo la Commissione Europea: secondo il Ministero, nessuna nuova opera può essere autorizzata in deroga alle norme in vigore su Valutazione di Impatto Ambientale, VAS e Valutazione d’Incidenza, giacchè i territori coinvolti sono tutti compresi nella Rete UE Natura 2000.
Sono in corso di predisposizione, a cura di esperti del mondo scientifico ed accademico, dettagliate e concrete linee guida per la tutela e valorizzazione delle risorse ecologiche dell’area aquilana. Una proposta per il turismo e l’economia montana basata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili, che permetta di conservare la qualità delle risorse naturali all’interno di un’offerta turistica, senza sprechi di risorse economiche ed ambientali e senza sottrarre risorse alla ricostruzione.
Molti i progetti, devastanti e anacronistici, presentati lo scorso febbraio con il Protocollo d’Intesa sottoscritto a Roma, a Palazzo Chigi, il 17 febbraio 2011, con grande enfasi. Si tratta di progetti già visti, tirati fuori da vecchi cassetti, a scapito della biodiversità e del paesaggio di zone di particolare pregio del territorio aquilano.
Devastanti perché prevedono prioritariamente la modifica permanente del territorio con infrastrutture sciistiche, funiviarie, campi da golf, lottizzazioni nel cuore del sistema delle aree protette dell’Appennino, in aree ricchissime di biodiversità e risorse ecologiche e per questo ricadenti in zone SIC e ZPS, ai sensi di Direttive Comunitarie, e pertanto sottoposte a rigorosa tutela da parte dell’Unione Europea. Nessuna considerazione, neanche un accenno alla tutela delle specie animali e vegetali, nonché degli habitat di importanza comunitaria.
Anacronistici perché in tali progetti non vi è alcuna novità o analisi delle reali condizioni ed esigenze del territorio, ma solo vecchi progetti più volte bloccati e che oggi si vuole far approvare con procedure di urgenza.
Il Protocollo, pur delineando in premessa, una serie di azioni per la valorizzazione ambientale e agrosilvopastorale, di fatto, poi, nella declinazione programmatico-finanziaria del documento, non fa altro che proporre solo lottizzazioni residenziali, ampliamenti della rete viaria, infrastrutture sciistiche e campi da golf.
Il cemento ed il movimento terra sono, di fatto, l’unico motore dell’intesa: essa sembra unicamente rivolta a sottrarre risorse programmatiche, alla più urgente necessità di ricostruzione dei Centri storici. Interventi devastanti, a forte impatto ambientale e paesaggistico, sono ancora una volta riproposti come volano di ripresa dell’economia delle aree interne.
Le proposte non sembrano neanche rispondere alle reali necessità di lavoro del territorio.
LE CRITICITÀ RILEVATE
Le ipotesi di “sviluppo” delineate nel Protocollo appaiono in palese contrasto con il quadro programmatico e pianificatorio vigente a tutti i livelli istituzionali: dalla Legge 394/91 (Legge quadro sui Parchi) ai Decreti istitutivi delle aree protette, dalla Regione alle Provincie ed agli stessi strumenti urbanistici comunali. Tutti gli interventi, ancorché appena delineati, sono in palese contrasto con gli strumenti vigenti; per il loro devastante impatto abbisognano, inoltre, di una Valutazione Ambientale Strategica (VAS) preliminare.
Molti sono gli interventi dati per “cantierabili” che non sono stati sottoposti a nessuna verifica tecnico-ambientale specifica, come ad esempio il collegamento sciistico tra le stazioni invernali di Ovindoli e Campo Felice, nel Parco Regionele Sirente Velino o la “Cittadella della Montagna” che si vuole far nascere in pieno Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
A rischio sarebbero ambienti di importanza prioritaria, specie di fauna e di flora particolarmente protette a livello nazionale e comunitario nonchè i corridoi ecologici di grande importanza per alcune specie di animali particolarmente protetti, tra cui, prima di tutto, l’orso bruno marsicano, a causa di interventi in evidente contrasto anche con le raccomandazioni del PATOM (Piano di Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano) approvato e reso esecutivo dalla Regione con DGR n.469 del 14.6.2010.
Alcuni interventi, come i campi da golf in quota, sono stati più volte bocciati perché incompatibili con la vocazione ambientale dei luoghi e palesemente distruttivi delle unicità floristiche e faunistiche presenti sugli altopiani delle Rocche e di Piani di Pezza.
Il Protocollo delinea uno sviluppo che privilegia pochi comuni, senza prendere in considerazione una piattaforma diffusa di interventi ordinari, più moderati e rispondenti al rilancio ed all’incentivazione di quelle poche “resistenze produttive” sopravvissute e alla ripartenza di iniziative autoctone.
I progetti, se realizzati, comporterebbero la cancellazione dei valori ambientali e paesistici grazie ai quali l’Abruzzo è stato definito la Regione dei Parchi e che costituiscono, se correttamente gestiti, la principale risorsa economica di questi territori, come testimoniano i dati del IX Rapporto sul turismo natura, elaborato dall’Osservatorio Ecotur (Chieti, maggio 2011), che vede i parchi e le aree protette come il segmento più rappresentativo del turismo natura in Italia. Intercettare segmenti di domanda turistica in espansione (turismo verde), abbandonando il miraggio della “monocoltura” dello sci è l’unica alternativa praticabile.
Non sono considerati gli studi sui cambiamenti climatici e i loro effetti, per i prossimi anni, sul manto nevoso (sempre più scarso nella prima parte della stagione invernale), né sulle già scarse riserve idriche. L’acqua, in montagna, è bene indispensabile alla sopravvivenza delle attività agro-silvo-pastorali, nonché dei fragili e delicati ecosistemi montani, e non può essere dirottata su campi da golf e impianti di innevamento artificiale.
Inoltre, a fronte dell’enorme costo energetico e ambientale dell’innevamento artificiale, non è comunque garantito che l’ampliamento del demanio sciabile produca effetti benefici al turismo dell’area. In Italia, il numero degli sciatori ha subito un netto calo tra il 1997 ed il 2004 con una diminuzione del 24%.
Il Protocollo appare perciò non rispondente alle sue stesse premesse, velleitario per i contenuti e le proposte avanzate e illegittimo per le forme e le procedure ipotizzate.
Mentre è fin troppo chiaro che i costi degli interventi ricadrebbero sugli Enti pubblici, con fondi sottratti al rilancio economico di tutto il cratere, non è stata fatta nessuna considerazione sulla praticabilità economico-ambientale degli interventi. Il Protocollo è privo di qualsiasi analisi economica a favore del modello di sviluppo individuato, mentre ve ne sono decine che dimostrano, al contrario, che si tratta di un’impresa fallimentare.
Pescara, 22.07.2011
Firmato
ALTURA Abruzzo - CGIL Abruzzo - Circolo Valorizzazione Terre Pubbliche – Comitato acqua pubblica - Comitatus Aquilanus - Fare Verde onlus - Forum Ambiente e Territorio Sinistra Ecologia e Libertà - Gruppo Naturalisti Rosciolo - Italia Nostra Abruzzo - LIPU Abruzzo - Mountain Wilderness Abruzzo - ProNatura Abruzzo - Rifondazione Comunista - WWF Abruzzo
giovedì 21 luglio 2011
Sciopero dei trasporti, cancellazioni e variazioni. Ecco gli orari nelle principali città
Sciopero trasporti, gli orari nelle principali città
Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa Trasporti, Faisa e Fast hanno indetto per il 21 e 22 luglio lo sciopero nelle Ferrovie e nel trasporto pubblico locale a sostegno della vertenza per il nuovo contratto della mobilità. Giovedì 21 luglio, si legge in una nota dei sindacati, si fermeranno tutti gli addetti ai bus che effettuano i servizi extraurbani, mentre il 22 la protesta interesserà il personale di bus, metro e tram dei servizi urbani.
Queste le modalità delle principali città: Roma dalle 8,30 alle 17,30 e dalle 20 a fine servizio; Milano dalle 8,45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; Napoli dalle 8,30 alle 17 e dalle 20 a fine servizio; Torino dalle 9 alle 12 e dalle 15 a fine servizio; Venezia-Mestre dalle 9 alle 16,30 e dalle 19,30 a fine servizio; Genova dalle 9,30 alle 17 e dalle 21 a termine servizio; Bologna (giovedì 21 luglio) dalle 8,30 alle 16,30 e dalle 19,30 a fine servizio; Bari 8,30-12,30 e dalle 15,30 a fine servizio; Palermo dalle 8,30 alle 17,30; Cagliari dalle 9,30 alle 12,45, dalle 14,45 alle 18,30 e dalle 20 alla fine del servizio.
Gli addetti al trasporto ferroviario e alle attività connesse si fermeranno dalle 21 del 21 luglio alla stessa ora del 22. Durante l'astensione saranno garantiti i servizi minimi indispensabili pari a 6 ore di servizio completo in due fasce (6-9; 18-21) oltre ai treni a lunga percorrenza inseriti nell'orarioTrenitalia, nell'arco dell'intera durata dello sciopero.
Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa Trasporti, Faisa e Fast hanno indetto per il 21 e 22 luglio lo sciopero nelle Ferrovie e nel trasporto pubblico locale a sostegno della vertenza per il nuovo contratto della mobilità. Giovedì 21 luglio, si legge in una nota dei sindacati, si fermeranno tutti gli addetti ai bus che effettuano i servizi extraurbani, mentre il 22 la protesta interesserà il personale di bus, metro e tram dei servizi urbani.
Queste le modalità delle principali città: Roma dalle 8,30 alle 17,30 e dalle 20 a fine servizio; Milano dalle 8,45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio; Napoli dalle 8,30 alle 17 e dalle 20 a fine servizio; Torino dalle 9 alle 12 e dalle 15 a fine servizio; Venezia-Mestre dalle 9 alle 16,30 e dalle 19,30 a fine servizio; Genova dalle 9,30 alle 17 e dalle 21 a termine servizio; Bologna (giovedì 21 luglio) dalle 8,30 alle 16,30 e dalle 19,30 a fine servizio; Bari 8,30-12,30 e dalle 15,30 a fine servizio; Palermo dalle 8,30 alle 17,30; Cagliari dalle 9,30 alle 12,45, dalle 14,45 alle 18,30 e dalle 20 alla fine del servizio.
Gli addetti al trasporto ferroviario e alle attività connesse si fermeranno dalle 21 del 21 luglio alla stessa ora del 22. Durante l'astensione saranno garantiti i servizi minimi indispensabili pari a 6 ore di servizio completo in due fasce (6-9; 18-21) oltre ai treni a lunga percorrenza inseriti nell'orarioTrenitalia, nell'arco dell'intera durata dello sciopero.
mercoledì 20 luglio 2011
Trasporti, stop 24 ore treni e mezzi pubblici dalle 21 di domani
ROMA (Reuters) - Scatterà alle 21 di domani lo sciopero di 24 ore di treni e mezzi pubblici indetto dai sindacati nell'ambito della vertenza per il nuovo contratto della mobilità.
Fs oggi avverte che saranno possibili "cancellazioni e limitazioni di corse ferroviarie" a causa dello sciopero, tra le 21 di domani e la stessa ora di venerdì.
"Durante lo sciopero circolerà circa il 67% dei 540 treni a lunga percorrenza previsti in orario e, nell'ambito del trasporto regionale, saranno effettuati i servizi essenziali nelle fasce a maggiore mobilità pendolare, dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21 del 22 luglio", dice una nota della società.
Domani si fermeranno gli addetti ai bus che effettuano i servizi extraurbani, mentre il 22 la protesta interesserà il personale di bus, metro e tram dei servizi urbani.
"Lo sciopero si è reso necessario in considerazione del grave stato di tensione tra i lavoratori conseguente al mancato pagamento degli aumenti contrattuali relativi agli anni 2009-2010 ed alla mancata soluzione contrattuale, la cui responsabilità è da ascrivere alle posizioni di chiusura datoriale", spiega una nota congiunta di Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa Trasporti, Faisa e Fast.
"Nonostante gli impegni assunti dal governo anche in sede di confronto con le Regioni, le problematiche riferite al contratto della mobilità sono rimaste irrisolte e anche la richiesta di incontro inoltrata al Presidente del Consiglio da parte dei segretari generali delle Confederazioni non ha avuto alcun seguito", conclude il comunicato.
Fs oggi avverte che saranno possibili "cancellazioni e limitazioni di corse ferroviarie" a causa dello sciopero, tra le 21 di domani e la stessa ora di venerdì.
"Durante lo sciopero circolerà circa il 67% dei 540 treni a lunga percorrenza previsti in orario e, nell'ambito del trasporto regionale, saranno effettuati i servizi essenziali nelle fasce a maggiore mobilità pendolare, dalle 6 alle 9 e dalle 18 alle 21 del 22 luglio", dice una nota della società.
Domani si fermeranno gli addetti ai bus che effettuano i servizi extraurbani, mentre il 22 la protesta interesserà il personale di bus, metro e tram dei servizi urbani.
"Lo sciopero si è reso necessario in considerazione del grave stato di tensione tra i lavoratori conseguente al mancato pagamento degli aumenti contrattuali relativi agli anni 2009-2010 ed alla mancata soluzione contrattuale, la cui responsabilità è da ascrivere alle posizioni di chiusura datoriale", spiega una nota congiunta di Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa Trasporti, Faisa e Fast.
"Nonostante gli impegni assunti dal governo anche in sede di confronto con le Regioni, le problematiche riferite al contratto della mobilità sono rimaste irrisolte e anche la richiesta di incontro inoltrata al Presidente del Consiglio da parte dei segretari generali delle Confederazioni non ha avuto alcun seguito", conclude il comunicato.
martedì 19 luglio 2011
Assemblea autoconvocata per preparare la resistenza al Piano Marchionne!
| informazioni | SABATO 3 SETTEMBRE, CASSINO, ORE 10.00 presso la Sala Restagno del Comune di Cassino ASSEMBLEA OPERAIA E POPOLARE PER PREPARARE LA RESISTENZA AL PIANO MARCHIONNE! APPELLO PER UNA ASSEMBLEA OPERAIA E POPOLARE PER PREPARARE LA RISPOSTA AL PIANO MARCHIONNE! Siamo delegati ed operai della FIAT di Cassino e di altri posti di lavoro del basso Lazio, attivisti politici e sindacali, convinti sostenitori della vera democrazia. Dopo Pomigliano e Mirafiori, Marchionne si prepara a colpire anche alla FIAT di Cassino: per allora dovremo avere le idee molto chiare, prepararci a resistere e a costruire il più ampio fronte di forze in risposta al Piano Marchionne! Siamo decisi a fare la nostra parte per sbarrare la strada al generalizzato attacco ai diritti che governo e padronato stanno muovendo contro i lavoratori e il popolo in generale! L’a.d. FIAT Marchionne con il sostegno e la complicità di Confindustria, del governo Berlusconi, dell’ “opposizione” parlamentare e delle dirigenze sindacali “complici” di CISL, UIL, UGL e FISMIC sta sferrando un attacco senza precedenti non solo contro gli operai FIAT, ma contro tutti i lavoratori. Con un colpo solo stanno cercando di smantellare lo Statuto dei Lavoratori, il CCNL, l’art. 41 della Costituzione! Vogliono eliminare i sindacati non asserviti ai voleri dei padroni! Dobbiamo proseguire la resistenza che prima a Pomigliano e dopo a Mirafiori gli operai e le operaie FIAT e le organizzazioni sindacali come la FIOM e i sindacati di base USB, CUB, SLAI-COBAS, COBAS hanno opposto al Piano Marchionne. I NO di Pomigliano e Mirafiori hanno messo in moto un’altra Italia, fatta da lavoratori, studenti, precari, pensionati e disoccupati che si stanno mobilitando per costruire una via d’uscita dalla crisi positiva, alternativa, diversa da quella che progettano Marchionne, Berlusconi e i caporioni dell’industria e dell’alta finanza. Per preparare la resistenza al Piano Marchionne, per raccogliere il testimone lasciatoci dalla straordinarie giornate di Pomigliano e Mirafiori, per impedire l’estensione del Piano Marchionne anche a Cassino, per contribuire a rafforzare la lotta per un’altra Italia messa in moto dalla sua parte migliore fatta da chi suda i soldi e da chi lotta per migliorare la propria situazione: costruiamo un’assemblea operaia e popolare da tenersi a Cassino in cui discutere, confrontarci, organizzarci e decidere iniziative comuni DIVENTA PROTAGONISTA! ADERISCI ALL’APPELLO, PARTECIPA ALL’ASSEMBLEA! UNIAMOCI E ORGANIZZIAMOCI PER PREPARARE LA RESISTENZA AL PIANO MARCHIONNE! |
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NO ALL’ASSEDIO DI GAZA! LIBERTA’ SUBITO PER GLI INTERNAZIONALI SEQUESTRATI DA ISRAELE!
La Marina israeliana ha abbordato la Dignité, il battello della Freedom Flotilla 2 riuscito ad eludere il blocco greco ed a dirigersi verso la Striscia di Gaza assediata. I diciassette passeggeri e membri dell’equipaggio sono stati sequestrati e portati, con la loro nave, nel porto israeliano di Ashdod.
A bordo della Dignité si trovano attivisti francesi, greci, svedesi e canadesi, oltre ad una troupe di Al Jazeera ed alla giornalista israeliana Amira Hass, del quotidiano Haaretz.
La Freedom Flotilla Italia invita a manifestare contro questo ennesimo crimine dello Stato di Israele e per esigere l’immediata liberazione dei pacifisti sequestrati illegalmente, come illegale è l’assedio israeliano della Striscia di Gaza, dove oltre un milione e mezzo di persone sono costrette a vivere in un’immensa prigione a cielo aperto. A Roma, l’appuntamento per gli amici della Palestina, della pace e della giustizia è per mercoledì 20 luglio, alle 18.00, davanti all’ambasciata israeliana in Via Michele Mercati. A Brindisi, sempre mercoledì 20 luglio, alle 19.00 in Piazza Vittoria.
La Freedom Flotilla Italia invita a manifestare contro questo ennesimo crimine dello Stato di Israele e per esigere l’immediata liberazione dei pacifisti sequestrati illegalmente, come illegale è l’assedio israeliano della Striscia di Gaza, dove oltre un milione e mezzo di persone sono costrette a vivere in un’immensa prigione a cielo aperto. A Roma, l’appuntamento per gli amici della Palestina, della pace e della giustizia è per mercoledì 20 luglio, alle 18.00, davanti all’ambasciata israeliana in Via Michele Mercati. A Brindisi, sempre mercoledì 20 luglio, alle 19.00 in Piazza Vittoria.
lunedì 18 luglio 2011
La Confindustria smentisce la segreteria Cgil
La Confindustria in un suo documento ufficiale datato 29 giugno 2011 e firmato dal direttore generale, Usai, smentisce clamorosamente le interpretazioni dell'accordo del 28 giugno date dalla segreteria della Cgil. Per la Confindustria quell'accordo cancella il diritto al voto dei lavoratori tranne che nelle aziende ove ci sono le Rsa, accetta le deroghe al contratto nazionale, colpisce il diritto di sciopero, anche quando un sindacato firmatario non è d'accordo su un'intesa aziendale, e più in generale applica gli accordi separati del 2009 sulla riforma contrattuale. Visto che questo è un testo ufficiale della Confindustria, attendiamo dalla segreteria confederale della Cgil una smentita rivolta alla controparte. Troppo comodo e troppo facile dire a chi non è d'accordo che dà un'interpretazione forzata di quello che è stato firmato. La Cgil non deve dirlo a noi, ma alla Confindustria che non è vero che ha accettato l'accordo del 2009... Attendiamo speranzosi questa smentita delle posizioni padronali da parte della segreteria confederale...
(leggi il testo integrale)
fonte:http://www.rete28aprile.it
(leggi il testo integrale)
fonte:http://www.rete28aprile.it
domenica 17 luglio 2011
Continuano i raid israeliani su Gaza
Sesta incursione in due giorni dell'aviazione israeliana.
Obiettivo degli attacchi i tunnel sotterranei che collegano
la Striscia all'esterno e il lancio di razzi artigianali sul
territorio dello Stato ebraico
Obiettivo degli attacchi i tunnel sotterranei che collegano
la Striscia all'esterno e il lancio di razzi artigianali sul
territorio dello Stato ebraico
Per il terzo giorno consecutivo, ieri notte, gli aerei dell’Israel Air Force
hanno colpito la Striscia diGaza. Il bilancio del raid, secondo fonti palestinesi
, è di almeno quattro feriti, tra cui due bambini, e un disperso. La stampa
israeliana parla invece di cinque feriti. Secondo l’emittente panaraba Al Jazeera
, gli aerei israeliani hanno colpito tre diversi obiettivi, due a Gaza City e uno a
Khan Younis. L’emittente del Quatar aggiunge che gli edifici colpiti erano usati
da Hamas e da altri gruppi palestinesi. E’ la sesta incursione in tre giorni.
Secondo fonti militari israeliane, citate dal quotidiano Haaretz, obiettivo
principale dei raid di ieri era un tunnel di quelli usati dai palestinesi per far
entrare nella Striscia beni e materiali proibiti da Israele. Dai tunnel però
passano anche armi per le fazioni palestinesi.
Il raid di ieri è arrivato in risposta al lancio, dalla Striscia di Gaza, di almeno
cinque razzi che sono caduti in territorio israeliano senza causare vittime
o danni. Dal mese di aprile, però, i raid e i lanci di razzi si stanno intensificando.
Negli ultimi quattro mesi, i caccia israeliani hanno condotto diverse incursioni,
uccidendo una ventina di palestinesi. L’alibi sono i razzi, spesso artigianali,
che diversi gruppi armati palestinesi sparano dalla Striscia verso Israele.
Hamas ufficialmente ha cercato di impedire questi lanci, sia dopo il più
pesante raid israeliano degli ultimi tempi, lo scorso 8 aprile, sia dopo
l’accordo concluso con Fatah al Cairo all’inizio di maggio. Tuttavia,
nemmeno Hamas riesce ad avere del tutto il controllo della Striscia,
dove un milione e mezzo di palestinesi vivono reclusi a causa dell’
assedio israeliano che dura dal 2006.
Da aprile, pur senza annunci ufficiali, è in vigore un cessate il fuoco
di fatto tra il governo israeliano e Hamas, ma bisogna vedere se nelle
prossime ore la tregua potrà essere mantenuta. Dopo la “vittoria”
sulla Freedom Flotilla 2, infatti, il governo israeliano sembra sentirsi più sicuro,
anche in vista del voto all’Onu, previsto per settembre,
sulla richiesta dell’Autorità nazionale palestinese di
riconoscere lo Stato di Palestina.
La diplomazia israeliana sta lavorando alacremente per cercare di
disinnescare
la bomba politica dell’eventuale riconoscimento internazionale.
Dal ministero
degli esteri israeliano, scrive Haartez, è partita una circolare con indicazioni
precise su come cercare di convincere gli stati ancora indecisi a votare
contro la richiesta palestinese (adesso appoggiata anche dalla Lega Araba).
I diplomatici israeliani nel mondo sono stati invitati a non prendere ferie fino
al voto all’Onu e a incrementare i contatti diretti con le autorità dei paesi che
li ospitano.
Un fronte inaspettato di protesta, però, si sta aprendo dentro Israele stesso
. Per domani, infatti, è prevista una manifestazione di cittadini palestinesi di
Israele a cui si aspetta prendano parte anche molti israeliani ebrei favorevoli
all’indipendenza dello stato di Palestina. E’ la prima volta da venti anni a
questa parte che una manifestazione del genere viene convocata. Il corteo
partirà dallaPorta di Giaffa, dalle mura Città Vecchia di Gerusalemme, per
scendere verso Sheikh Jarrah, un quartiere palestinese su cui da tempo si
gioca una battaglia legale e simbolica contro l’espulsione degli abitanti arabi
promossa dalle organizzazioni dei coloni ebrei con la complicità della
municipalità di Gerusalemme e del governo israeliano. Alcune organizzazioni
della destra israeliana e dei coloni hanno annunciato una contro-manifestazione
e le misure di sicurezza saranno molto alte, ma gli organizzatori sperano in una
manifestazione pacifica, che, nelle più rosee aspettative dei comitati arabi e
israeliani che l’hanno promossa, potrebbe segnare la nascita di un nuovo
movimento per la pace nella società israeliana.
hanno colpito la Striscia diGaza. Il bilancio del raid, secondo fonti palestinesi
, è di almeno quattro feriti, tra cui due bambini, e un disperso. La stampa
israeliana parla invece di cinque feriti. Secondo l’emittente panaraba Al Jazeera
, gli aerei israeliani hanno colpito tre diversi obiettivi, due a Gaza City e uno a
Khan Younis. L’emittente del Quatar aggiunge che gli edifici colpiti erano usati
da Hamas e da altri gruppi palestinesi. E’ la sesta incursione in tre giorni.
Secondo fonti militari israeliane, citate dal quotidiano Haaretz, obiettivo
principale dei raid di ieri era un tunnel di quelli usati dai palestinesi per far
entrare nella Striscia beni e materiali proibiti da Israele. Dai tunnel però
passano anche armi per le fazioni palestinesi.
Il raid di ieri è arrivato in risposta al lancio, dalla Striscia di Gaza, di almeno
cinque razzi che sono caduti in territorio israeliano senza causare vittime
o danni. Dal mese di aprile, però, i raid e i lanci di razzi si stanno intensificando.
Negli ultimi quattro mesi, i caccia israeliani hanno condotto diverse incursioni,
uccidendo una ventina di palestinesi. L’alibi sono i razzi, spesso artigianali,
che diversi gruppi armati palestinesi sparano dalla Striscia verso Israele.
Hamas ufficialmente ha cercato di impedire questi lanci, sia dopo il più
pesante raid israeliano degli ultimi tempi, lo scorso 8 aprile, sia dopo
l’accordo concluso con Fatah al Cairo all’inizio di maggio. Tuttavia,
nemmeno Hamas riesce ad avere del tutto il controllo della Striscia,
dove un milione e mezzo di palestinesi vivono reclusi a causa dell’
assedio israeliano che dura dal 2006.
Da aprile, pur senza annunci ufficiali, è in vigore un cessate il fuoco
di fatto tra il governo israeliano e Hamas, ma bisogna vedere se nelle
prossime ore la tregua potrà essere mantenuta. Dopo la “vittoria”
sulla Freedom Flotilla 2, infatti, il governo israeliano sembra sentirsi più sicuro,
anche in vista del voto all’Onu, previsto per settembre,
sulla richiesta dell’Autorità nazionale palestinese di
riconoscere lo Stato di Palestina.
La diplomazia israeliana sta lavorando alacremente per cercare di
disinnescare
la bomba politica dell’eventuale riconoscimento internazionale.
Dal ministero
degli esteri israeliano, scrive Haartez, è partita una circolare con indicazioni
precise su come cercare di convincere gli stati ancora indecisi a votare
contro la richiesta palestinese (adesso appoggiata anche dalla Lega Araba).
I diplomatici israeliani nel mondo sono stati invitati a non prendere ferie fino
al voto all’Onu e a incrementare i contatti diretti con le autorità dei paesi che
li ospitano.
Un fronte inaspettato di protesta, però, si sta aprendo dentro Israele stesso
. Per domani, infatti, è prevista una manifestazione di cittadini palestinesi di
Israele a cui si aspetta prendano parte anche molti israeliani ebrei favorevoli
all’indipendenza dello stato di Palestina. E’ la prima volta da venti anni a
questa parte che una manifestazione del genere viene convocata. Il corteo
partirà dallaPorta di Giaffa, dalle mura Città Vecchia di Gerusalemme, per
scendere verso Sheikh Jarrah, un quartiere palestinese su cui da tempo si
gioca una battaglia legale e simbolica contro l’espulsione degli abitanti arabi
promossa dalle organizzazioni dei coloni ebrei con la complicità della
municipalità di Gerusalemme e del governo israeliano. Alcune organizzazioni
della destra israeliana e dei coloni hanno annunciato una contro-manifestazione
e le misure di sicurezza saranno molto alte, ma gli organizzatori sperano in una
manifestazione pacifica, che, nelle più rosee aspettative dei comitati arabi e
israeliani che l’hanno promossa, potrebbe segnare la nascita di un nuovo
movimento per la pace nella società israeliana.
sabato 16 luglio 2011
Mancanza di scarpe antiscivolo: Il datore di lavoro rischia l’applicazione delle sanzioni
14/07/2011 - Il Dlg.s. 81/2008 meglio conosciuto come Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, si compone di una serie di articoli volti a tutelare i lavoratori contro i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività lavorativa.
In particolare l'art. 18 del sopra menzionato decreto, indica tutti gli obblighi che sussistono in capo al datore di lavoro che esercita una delle attività elencate nell'art 3 dello stesso decreto.
Allo stesso modo, anche i lavoratori ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs 81/2008, sono obbligati a prendersi cura della loro salute e della loro sicurezza oltre a quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, ricadendo su di essi gli effetti delle proprie azioni od omissioni, conformemente alla formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
Recentemente la Suprema Corte con la sentenza del 7 giugno 2011 n. 22514, si è soffermata sulla questione relativa alle responsabilità da attribuire in capo al datore di lavoro in caso di inosservanza delle norme antinfortunistiche, con particolare riferimento alla mancata fornitura dei dispositivi di protezione individuale.
Il caso di specie faceva riferimento alla condanna pronunciata nei confronti del titolare di una trattoria, a seguito di infortunio occorso al lavoratore dipendente con la mansione di cuoco, derivante dal non aver munito il cuoco di scarpe antiscivolo.
Secondo i giudici della Suprema Corte tale circostanza è idonea ad integrare un'omissione colposamente rilevante fin dalla costituzione del rapporto di lavoro, essendo del tutto irrilevante il mancato controllo esercitato sul dipendente il giorno relativo al verificarsi del fatto.
Pertanto, dalla trattazione del caso di specie emerge che l'incuria da parte del datore di lavoro in caso di mancata fornitura dei dispositivi di protezione individuale (quali le scarpe antiscivolo) comportano l'irrogazione della sanzione in capo al datore di lavoro.
Tale sanzione è disciplinata dall'art. 55 del D.Lgs 81/2008 e può consistere nell'arresto da due a quattro mesi o nell'ammenda da € 1.500 ad € 6.000.
Nel caso in cui il datore di lavoro munisca i dipendenti dei dispositivi sulla sicurezza, il mancato o l'errato utilizzo da parte degli stessi comporta l'erogazione in capo ai lavoratori di una sanzione che può consistere o in una sanzione amministrativa pecuniaria o nell'arresto.
Resta in ogni caso opportuno che il datore di lavoro contesti per iscritto il mancato o lVerrato utilizzo dei dispositivi affinchè possa avere un supporto valido ai fini probatori in caso di necessità.
In particolare l'art. 18 del sopra menzionato decreto, indica tutti gli obblighi che sussistono in capo al datore di lavoro che esercita una delle attività elencate nell'art 3 dello stesso decreto.
Allo stesso modo, anche i lavoratori ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs 81/2008, sono obbligati a prendersi cura della loro salute e della loro sicurezza oltre a quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, ricadendo su di essi gli effetti delle proprie azioni od omissioni, conformemente alla formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
Recentemente la Suprema Corte con la sentenza del 7 giugno 2011 n. 22514, si è soffermata sulla questione relativa alle responsabilità da attribuire in capo al datore di lavoro in caso di inosservanza delle norme antinfortunistiche, con particolare riferimento alla mancata fornitura dei dispositivi di protezione individuale.
Il caso di specie faceva riferimento alla condanna pronunciata nei confronti del titolare di una trattoria, a seguito di infortunio occorso al lavoratore dipendente con la mansione di cuoco, derivante dal non aver munito il cuoco di scarpe antiscivolo.
Secondo i giudici della Suprema Corte tale circostanza è idonea ad integrare un'omissione colposamente rilevante fin dalla costituzione del rapporto di lavoro, essendo del tutto irrilevante il mancato controllo esercitato sul dipendente il giorno relativo al verificarsi del fatto.
Pertanto, dalla trattazione del caso di specie emerge che l'incuria da parte del datore di lavoro in caso di mancata fornitura dei dispositivi di protezione individuale (quali le scarpe antiscivolo) comportano l'irrogazione della sanzione in capo al datore di lavoro.
Tale sanzione è disciplinata dall'art. 55 del D.Lgs 81/2008 e può consistere nell'arresto da due a quattro mesi o nell'ammenda da € 1.500 ad € 6.000.
Nel caso in cui il datore di lavoro munisca i dipendenti dei dispositivi sulla sicurezza, il mancato o l'errato utilizzo da parte degli stessi comporta l'erogazione in capo ai lavoratori di una sanzione che può consistere o in una sanzione amministrativa pecuniaria o nell'arresto.
Resta in ogni caso opportuno che il datore di lavoro contesti per iscritto il mancato o lVerrato utilizzo dei dispositivi affinchè possa avere un supporto valido ai fini probatori in caso di necessità.
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