domenica 19 giugno 2011
L'arresto di Pambianchi due ore davanti al giudice
Negano. Chi non sapeva, chi non gestiva, chi non poteva nemmeno immaginare. E, soprattutto, si rimpallano colpe e responsabilità. Sono stati interrogati ieri dal gip di Roma Giovanni De Donato, cinque dei 42 indagati accusati dalla procura di Roma di evasione fiscale per 600 milioni di euro. E ad aprire le "danze" (gli interrogatori continueranno oggi con i "clienti" eccellenti e il notaio Ferrara, poi, lunedì, con l'aiuto di altri due gip), sono state quelle che l'accusa considera le due menti del sistema: il presidente della Confocommercio di Roma, Cesare Pambianchi e Carlo Mazzieri. Il secondo si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre il numero uno dei commercianti romani ha voluto rispondere. Due ore di colloquio per negare tutti gli addebiti. Per dire che non ha mai ricevuto somme di denaro in nero dalle aziende a cui lo studio forniva consulenze e che, in ogni caso, dal 2001 i suoi incarichi istituzionali "gli impedivano di occuparsi personalmente dello studio, quasi tutto veniva gestito dal mio socio". Non esplicitamente uno scaricabarile, ma qualcosa che ci si avvicina molto. Il presidente dei commercianti, difeso dagli avvocati Gianluca Tognozzi e Luigi Fischetti, precisa di aver seguito direttamente solo due "clienti", Di Veroli e Fargion-Arbi,ma quando il giudice gli chiede di spiegare i movimenti dei soldi, si inceppa, non ricorda.
Secondo il procuratore aggiunto Nello Rossi e i pm Sabina Calabretta, Francesco Ciardi e Maria Francesca Loy, i due commercialisti avrebbero ricevuto oltre 12 milioni di euro, parte anche in beni immobili, dai "clienti". Gruppi imprenditoriali del rango di Conad, Vichi e Di Veroli da cui i due consulenti avrebbero ricevuto compensi milionari. Tutti rigorosamente sfuggiti al fisco. Come nel caso del compenso da 8 milioni elargito dalla catena di supermercati. Per il momento il collegio difensivo del commercialista non ha presentato alcuna richiesta di scarcerazione. "Prima di adottare iniziative - hanno spiegato Tognozzi e Fischetti - attendiamo la fine degli interrogatori di garanzia Poi valuteremo quali istanze presentare ai pubblici ministeri".
Non solo Pambianchi, hanno risposto alle domande anche Paolo Verreggia, Claudio Francisci e Davide De Caprio. La linea, tendenzialmente comune: il loro ruolo, in quella che secondo la procura è, a tutti gli effetti, una associazione a delinquere, è stato sopravvalutato dagli inquirenti. De Caprio avrebbe spiegato: "Di tutto quello che leggo in questa ordinanza non so nulla. Lo studio di Mazzieri era per me una garanzia. Era uno dei più importanti d'Italia. Mai avrei pensato che per i pochi clienti che mi hanno presentato in meno di due anni sarei finito nei guai". De Caprio, che ha negato di aver mai conosciuto Pambianchi, ha poi aggiunto: "Non ho mai gestito direttamente soldi. Lavoro su provvigione, la mia unica fonte di reddito è la banca a cui porto il cliente. Delle società per cui ho curato un conto titoli sapevo quel che mi era stato riferito da Mazzieri".
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento